Quanto influenza ha nella nostra vita il nome che ci è stato dato dai nostri genitori? John Smith, leggenda dell’avanguardia inglese, dopo una carriera che dura da quasi mezzo secolo e una filmografia che comprende oltre 60 film, oltrepassata la soglia dei suoi 70 anni, riflette su questo e su quanto la banalità del proprio nome, il nome più comune tra tutti i nomi britannici, lo abbia influenzato nel suo modo di essere e di fare arte.
Da bambino gli hanno affibbiato molti soprannomi: Big John alle elementari perché era il più alto della sua classe, e poi Piddly Smith alle superiori quando improvvisamente ha smesso di crescere, ed è diventato uno dei più bassi venendo bullizzato dai suoi compagni. Per infine diventare Pid Smith quando, diventato più grande, è riuscito ad entrare nella gang della scuola.
Ma, per il mondo dell’arte, lui è sempre stato solo John Smith, e quando ha pensato che forse sarebbe stato il caso di trovare uno pseudonimo, era ormai troppo tardi.
Difficilissimo cercare informazioni su di lui online se non conosciamo il nome di uno dei suoi film. Se lo si cerca su Google con il suo nome avremo 35 milioni di risultati. Solo in Gran Bretagna ci sono oltre trentamila John Smith.
Attraverso le fotografie che ritraggono i genitori, le origini a Walthamstow, il quartiere “lower middle class” di Londra nel quale è nato, i suoi compagni di classe, personaggi storici e semplicemente degli omonimi, ma anche con le immagini della malattia che lo ha bloccato negli ultimi anni, viene costruito un racconto narrato con lo stile che lo ha reso inconfondibile: l’uso della parola, sempre al confine tra ironia e malinconia, il gioco tra il vero e il falso, tra quello che le immagini non possono dire, e quello che potrebbero evocare.
Ma facendo un film su se stessi senza pensare a ciò che ci sta intorno si corre il rischio di realizzare un esercizio solipsistico, e “Essere John Smith” non è solo avere un nome comune, ma è anche essere un artista che dà un valore politico al proprio lavoro e al proprio esistere. E non è vero che più si diventa anziani, più si diventa conservatori.